Aldo Braccio dell’IsAG è stato intervistato da Fabrizio di Ernesto per l’Agenzia Stampa Italia a proposito dell’imminente uscita del suo nuovo libro, Turchia ponte d’Eurasia (Fuoco Edizioni, Roma 2011). Nell’intervista Braccio discute il ruolo internazionale della Turchia, il difficile avvicinamento all’Unione Europea, le rivolte arabe e la politica interna del paese anatolico. Riportiamo il testo integrale dell’intervista, che si può leggere in originale cliccando qui.
(ASI) Proprio in questi giorni sta uscendo il suo saggio TURCHIA PONTE D’EURASIA. Che ruolo svolge Ankara in questo momento sullo scenario mondiale, ed in particolare all’interno del blocco eurasiatico?
Per la verità in questo particolare momento la Turchia sta giocando un ruolo di basso profilo, suscettibile di diverse interpretazioni. Infatti sia nel caso libico che in quello siriano – due Paesi arabi che hanno costituito interlocutori importanti, specie il secondo, per Ankara – il governo si è un po’ rimesso alle decisioni e alle pretese della cosiddetta “comunità internazionale”, ossia del mondo atlantico/occidentale a guida statunitense. Tuttavia, esaminato in un contesto temporale più ampio, il ruolo della Turchia appare senza dubbio innovativo e decisamente responsabile: un Paese sovrano e non più semplice “sentinella dell’Occidente”, che vuole essere protagonista di nuovi e più stabili equilibri e che dà anche sostanza a un discorso eurasiatico.
Il libro esamina la “questione turca” da un punto di vista storico (il suo passato imperiale e poi “kemalista”, gli ultimi e più recenti anni di svolta), geopolitico e culturale (i suoi rapporti con l’Europa, ad esempio), cercando di sfatare determinati luoghi comuni su un mondo affascinante ma spesso incompreso.
La Turchia è posta a cavallo tra Europa ed Asia, troppo orientale agli occhi dell’occidente e troppo europea per gli asiatici. Quale è a suo giudizio la giusta collocazione del paese e perché?
La risposta, in un certo modo, viene dalla Storia, e in particolare dalla storia delle grandi formazioni imperiali poste tra Europa e Asia: l’impero di Alessandro, quello romano, quello bizantino e quello ottomano comprendevano tutti terre europee e terre asiatiche, e in tutti figurava – come elemento intermedio e di collegamento – l’Anatolia. Questa è la giusta collocazione della Turchia, rappresentata sinteticamente da Istanbul/Costantinopoli/Bisanzio.
Ritiene allora che un certo spirito imperiale possa trovare corrispondenza e riscontro nella Turchia, e che ciò possa giovare all’Europa?
Quando si parla di suggestioni imperiali o neottomane della Turchia si esprime, con una formulazione magari imprecisa, una verità di cui bisognerebbe tener conto: nel senso che la Turchia tende ormai a mettere da parte l’orientamento rigidamente nazionalistico perseguito dal kemalismo per recuperare una visione più organica, sia all’interno (rispetto dell’identità curda, di quella religiosa, ecc.) sia all’esterno (ad esempio apertura e dialogo con i Paesi arabi e interventi di mediazione in diverse situazioni critiche internazionali). L’Europa ha sicuramente da avvantaggiarsi da tutto ciò, perché trova un interlocutore attivo e “creativo”, al centro di una rete di incontri e di alleanze importanti: ma bisogna che anch’essa abbia una politica internazionale forte e indipendente.
La Turchia è un mirabile esempio di come possa convivere la laicità dello stato, la modernità e la religione islamica. Può diventare il modello politico di riferimento per le nazioni arabe in rivolta? Sempre in base a questa premessa, in una Europa sempre più mussulmana la Turchia può rappresentare un esempio da seguire?
Considero il termine “modernità” come un disvalore, legato alla “moda” e all’effimero di una società priva di gerarchie e di effettivi vincoli personali e comunitari. Se invece parliamo di Stato (con la s maiuscola), magari di Stato sociale che si sottrae all’accumulazione capitalistica, e di religione islamica (o di religione tout court), e dei rapporti che possono intercorrere fra queste due realtà, allora penso che l’attuale Turchia di Erdoğan possa effettivamente rappresentare un modello interessante; non l’unico certamente, ma un esempio che può trovare riscontro nei Paesi arabi o altrove (forse anche in Europa, dove i valori legati alla religione sono spesso malvisti o sopportati con fastidio).
Uno dei tormentoni politici di Bruxelles è quello relativo ad una possibile ammissione di Ankara nell’Unione europea. Qualora la Turchia riuscisse ad entrare nella Ue sarebbe un vantaggio per ambo le parti o solo per una delle due? Ed in caso a quali rinunce sarebbe costretta la Turchia?
Sì, è vero, è un tormentone europeo e in particolare anche italiano. Io penso che bisognerebbe sempre ricordare che l’attuale Unione europea rappresenta, purtroppo, un’entità finanziario-economica sostanzialmente estranea e contraria agli interessi dei popoli europei; politicamente parlando l’Europa risulta essere ad encefalogramma piatto, totalmente asservita a interessi speculativi oligarchici e alla politica estera degli Stati Uniti d’America. Però, sul piano generale e di principio, la Turchia e l’Europa si completano a vicenda: la prima può geograficamente essere considerata la quarta penisola che si affaccia nel Mediterraneo (dopo quelle iberica, italiana e balcanica), e già questo dà il senso del legame che esiste; si aggiunga il ruolo fondamentale che Ankara svolge nell’intermediazione/passaggio di oleodotti e gasdotti dai Paesi produttori a quelli europei. Un vantaggio reciproco, pertanto, ma l’Europa deve riacquistare la sua sovranità per giocare il suo ruolo.
Recentemente come Agenzia stampa Italia abbiamo incontrato Akki Hakil, ambasciatore turco in Italia. Questi ci ha parlato degli ottimi rapporti che intercorrono tra Ankara e Teheran. A suo modo di vedere è ipotizzabile la nascita di un asse turcoiraniano in grado di dare stabilità alla regione mediorientale e fare da contro altare non solo allo strapotere politico e militare di Israele ma anche a quello economico di Cina e India?
Quello con l’Iran è uno dei diversi assi in corso di costruzione e che vedono la Turchia muoversi con spregiudicatezza; l’aspetto sicuramente più positivo è che nell’ottica turca tali assi riescono a convivere e a combinarsi con una certa armonia dando vita a delle piattaforme regionali molto significative, in cui protagonisti del proprio destino sono le nazioni locali e non potenze lontane – d’oltreoceano, addirittura … – che pretendono di continuare a dettar legge a “buoni” e “cattivi”. L’accordo fra Iran e Turchia è positivo e apportatore di stabilità, anche se scandalizza determinati bacchettoni occidentali e i loro massmedia.
Sempre sua eccellenza Hakil ci ha riferito dei grandi progressi compiuti negli ultimi anni dalla Turchia. Secondo lei cosa manca ancora al paese dei Dardanelli per arrivare ai livelli raggiunti dalle nazioni che compongono il ristretto gruppo del Brics?
Manca poco, effettivamente: nel primo trimestre 2010, tanto per citare un dato recente, il Paese dei Dardanelli ha costituito la seconda economia del G20 per crescita del PIL, inferiore solo alla Cina. E la tendenza continua. Il boom economico turco va di pari passo con le sue direttrici geopolitiche (sono enormemente aumentate le esportazioni verso Iran, Turkmenistan e Stati arabi) e con il cortese ma preciso rifiuto dei prestiti del Fondo Monetario Internazionale (organizzazione che indebita gli Stati).
Quale futuro aspetta la Turchia e il paese sarà in grado di gestire il delicato ruolo di ponte tra Europa e Asia?
Un buon futuro, al pari di quello del continente eurasiatico (e, più in generale, un futuro migliore per il mondo!) se si riuscirà a costruire un sistema internazionale più equilibrato, multipolare anziché unipolare a guida statunitense; un sistema in cui il rispetto delle identità e delle differenze prevalga sull’imposizione di modelli unici di pensiero e di economia. La Turchia, fra alti e bassi, mi sembra si muova in questa direzione.